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Nota MIM 2025 sulle prove equipollenti

Con la recente nota, il Ministero dell’Istruzione torna purtroppo a utilizzare il termine “differenziato” come sinonimo di “diverso” o “alternativo”, riproponendo un’imprecisione già presente nel D.Lgs. 62/2017.

Nota MIM 23420 del 2025 -Prove-equipollenti

In questo modo viene vanificato lo sforzo compiuto dal D.I. 182/2020, che aveva cercato di portare maggiore coerenza nel lessico adottato, riservando il termine “percorso differenziato” esclusivamente ai percorsi che non conducono al rilascio del titolo di studio.

Inoltre, la nota perde l’occasione di chiarire alcuni aspetti ancora poco definiti, in particolare il ruolo della commissione d’esame nella predisposizione delle prove equipollenti. Non viene infatti esplicitato se sia possibile predisporle prima dell’esame, anziché attendere esclusivamente le prove predisposte a livello ministeriale.

A pagina 1, si legge che:

«La commissione/classe, sulla base della documentazione fornita dal consiglio di classe relativa alle attività svolte, alle valutazioni effettuate e all’assistenza prevista per l’autonomia e la comunicazione, predispone una o più prove differenziate, in linea con gli interventi educativo-didattici attuati sulla base del PEI e con le modalità di valutazione in esso previste».

A pagina 2, si precisa che tali prove devono comunque permettere di verificare che lo studente abbia raggiunto una preparazione culturale e professionale idonea al rilascio del diploma.

Infine, la nota afferma che le prove potranno contemplare anche una riformulazione delle consegne per renderle più accessibili al candidato, purché ciò non comprometta la possibilità di dimostrare le competenze acquisite.

Tuttavia, tale intervento sembra essere previsto soltanto in sede d’esame, il che potrebbe generare ulteriori incertezze operative tra i docenti, poiché l’espressione “potranno contemplare” lascia aperte diverse interpretazioni e non fornisce indicazioni chiare sulle tempistiche e modalità di intervento.

In sintesi, la nota introduce elementi ambigui e ripropone un uso impreciso del linguaggio tecnico, rischiando di creare confusione tra gli operatori scolastici proprio in un ambito in cui sarebbero auspicabili chiarezza e coerenza terminologica.

 

Una didattica uguale per tutti renderebbe fallimentare il principio di equità

La scuola di oggi tra velocità e inclusione

Lettura, scrittura e calcolo sono abilità complesse, sempre più richieste in una società che corre veloce.

Mass media, social e internet ci spingono a rispondere agli stimoli in modo rapido, quasi automatico. Anche la scuola è coinvolta in questa logica: tempi stretti, programmi intensi, velocità di esecuzione.

Ma non tutti gli studenti riescono a stare al passo. Alcuni faticano a leggere, scrivere o calcolare con rapidità. La loro è una storia fatta di impegno, lentezza e ostacoli, ma anche di grande valore. Una lentezza che forse dovremmo rivalutare.

Oggi la didattica punta all’inclusione, rispettando i bisogni di ogni alunno, con o senza difficoltà specifiche. Le classi sono sempre più eterogenee: c’è chi è attento, chi distratto, chi ha una diagnosi di DSA o attende una valutazione, chi è iperattivo o con altri bisogni particolari.

Una didattica identica per tutti rischia di penalizzare proprio chi ha più bisogno di supporto. Forse la soluzione sta nell’estendere a tutta la classe le strategie pensate per gli studenti con difficoltà, offrendo così strumenti utili a tutti, non solo ai più forti.

Ecco alcune strategie inclusive che possono fare la differenza:

  • Utilizzare mappe, schemi, immagini e materiali multimediali;
  • Lavorare in piccoli gruppi e favorire il tutoraggio tra pari;
  • Evitare dettati e copiati, preferendo fotocopie chiare e leggibili;
  • Gratificare i successi e motivare senza pressioni;
  • Promuovere il “fare” attraverso attività laboratoriali;
  • Ridurre la quantità dei compiti, valorizzando il percorso più che il risultato finale.

Insegnare oggi significa anche saper semplificare, osservare, adattare.

È questa la vera sfida dell’inclusione.

 

 

ABA e CAA: cosa sono, a cosa servono e quando usarle

Quando un bambino ha difficoltà nel comunicare, nel comportarsi in modo adeguato o nell’imparare nuove abilità, può essere utile attivare degli interventi specifici. Due tra i più utilizzati e riconosciuti sono ABA (Analisi Comportamentale Applicata) e CAA (Comunicazione Aumentativa e Alternativa).

Anche se diverse tra loro, queste due terapie hanno un obiettivo comune: aiutare il bambino a crescere, comunicare e partecipare alla vita quotidiana in modo più sereno e autonomo.

Cos’è la terapia ABA

ABA è l’acronimo di Applied Behavior Analysis, ovvero Analisi Comportamentale Applicata.

È un metodo scientifico basato sui principi dell’apprendimento comportamentale. L’obiettivo dell’ABA è quello di insegnare abilità utili e ridurre comportamenti problematici, attraverso l’osservazione sistematica e l’uso di rinforzi positivi.

È particolarmente indicata per bambini e ragazzi con disturbo dello spettro autistico, ma può essere utile anche in presenza di altri disturbi del comportamento o ritardi cognitivi.

L’efficacia dell’ABA è supportata da numerose ricerche scientifiche.

Serve per insegnare nuove abilità e ridurre comportamenti inadeguati (ad esempio: urla, crisi, gesti ripetitivi).

Come funziona?

Questa terapia viene strutturata su misura per ogni individuo e prevede attività che aiutano a sviluppare competenze in ambiti come:

  • comunicazione,
  • autonomia personale,
  • abilità sociali,
  • gioco e interazione.
Gli esercizi sono spesso sotto forma di gioco.

Esempio pratico: Se un bambino lancia oggetti per ottenere attenzione, con ABA si lavora per insegnargli un modo più funzionale di chiedere attenzione, ad esempio toccando il braccio dell’adulto o dicendo “Gioca con me”.

Cos’è la CAA

CAA sta per Comunicazione Aumentativa e Alternativa.

Si tratta di un insieme di strategie, tecniche e strumenti pensati per supportare o sostituire il linguaggio verbale nelle persone che hanno difficoltà a comunicare in modo efficace.

La CAA non si propone di “curare” o “sostituire” il linguaggio verbale, ma di aumentare le possibilità comunicative della persona, favorendo l’autonomia e la partecipazione sociale.

È indicata per bambini e adulti con gravi difficoltà comunicative, come autismo, paralisi cerebrale, disabilità intellettiva, disturbi motori o neurologici.

Quali strumenti usa?

  • supporti visivi (immagini, simboli, tabelle),
  • comunicazione gestuale (come il linguaggio dei segni),
  • strumenti tecnologici (comunicatori elettronici, tablet con app dedicate).

Esempio pratico:
Un bambino non riesce a dire “acqua”, ma usando una tabella con le immagini può indicare il simbolo dell’acqua. In questo modo può farsi capire e riduce frustrazione e crisi.

🔍 Differenze tra ABA e CAA

Aspetto ABA CAA
Finalità Insegna comportamenti utili e riduce quelli problematici Aiuta a comunicare, con o senza linguaggio verbale
Metodo Interventi strutturati, rinforzo positivo, osservazione sistematica Si basa su supporti visivi, gesti o strumenti elettronici
A chi si rivolge Persone con autismo o disturbi comportamentali Persone con difficoltà comunicative gravi
Obiettivo principale Apprendimento di comportamenti adattivi e riduzione di quelli disfunzionali Espressione di bisogni, emozioni, pensieri

 

🧒 Quando usarle e con quali bambini

  • ABA è consigliata quando il bambino ha difficoltà comportamentali o di apprendimento, in particolare nei casi di disturbo dello spettro autistico.
  • CAA è utile quando il bambino non parla o ha grandi difficoltà nel farsi capire, indipendentemente dalla diagnosi.

🤝 Si possono usare insieme?

Sì, spesso l’approccio più efficace è integrare ABA e CAA.

Ad esempio, un terapista ABA può insegnare al bambino ad usare una tabella CAA per esprimersi. Questo migliora la comunicazione e riduce i comportamenti problematici legati alla frustrazione.


📌 In sintesi

  • ABA aiuta il bambino a imparare comportamenti positivi.
  • CAA lo aiuta a comunicare, anche senza parole.
  • Usarle insieme può fare la differenza.

🔔 Se pensi che tuo figlio possa beneficiare di uno di questi approcci, parlane con un neuropsichiatra infantile, un terapista della neuro e psicomotricità, o uno psicologo esperto in disturbi del neurosviluppo. Una valutazione precoce è il primo passo verso un percorso di crescita positivo.


➡️ Chi prepara il docente di sostegno al metodo ABA?

È importante chiarire un punto fondamentale: il docente di sostegno non è automaticamente formato nel metodo ABA, a meno che non scelga volontariamente di intraprendere un percorso specifico per diventare Tecnico del Comportamento Certificato. 

Il ruolo dell’insegnante non è quello di applicare il trattamento ABA, né tantomeno di sostituirsi al terapista. Il compito principale dell’insegnante, inclusi i docenti di sostegno, è la gestione della didattica. Il terapista ABA o l’analista del comportamento, invece, è il professionista responsabile dell’intervento comportamentale sul bambino. Questo professionista, conoscendo in modo approfondito il profilo clinico dell’alunno, collabora con l’insegnante condividendo strategie pratiche per affrontare e gestire comportamenti disfunzionali all’interno del contesto scolastico.

Facciamo un esempio per chiarire meglio: se un bambino, durante l’ora di matematica, strappa i quaderni, urla, si alza e scappa dall’aula, l’insegnante – che è focalizzato sulla didattica – può confrontarsi con l’analista del comportamento.

Quest’ultimo fornirà indicazioni e strategie specifiche da applicare in quella situazione, come l’uso di un timer, l’introduzione di un sistema di rinforzo, o la gestione dei tempi in funzione delle caratteristiche individuali del bambino.

È proprio da questa sinergia tra insegnante e professionista ABA che nasce una collaborazione efficace, sempre orientata al benessere e alla crescita dell’alunno.

I contenuti di questo articolo sono presentati in modo generale e semplice. Per approfondimenti o informazioni specifiche, è consigliabile consultare siti specializzati o rivolgersi a professionisti del settore.

 

Troppi compiti e verifiche, il Ministero raccomanda: stop ai carichi concentrati e ai compiti assegnati la sera per il giorno dopo

28 aprile 2025

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha diffuso una nuova circolare, firmata dal Ministro Giuseppe Valditara, indirizzata a tutti i Dirigenti scolastici delle scuole statali e ai Coordinatori didattici delle scuole paritarie Circolare 2443 del 28-04-2025

Il documento pone l’accento sulla necessità di una programmazione accurata delle verifiche in classe e dei compiti da svolgere a casa, richiamando l’attenzione sull’importanza di un coordinamento tra i docenti per evitare sovrapposizioni e carichi eccessivi per gli studenti.

Al Tg1, Valditara osserva: “La circolare ha lo scopo di rafforzare sempre di più la positiva collaborazione fra famiglia e scuola, una collaborazione che a me sta particolarmente a cuore”.

Coordinamento tra docenti e rispetto dei tempi

La circolare richiama il DPR n. 275/1999, che attribuisce ai docenti ampi margini decisionali in materia di didattica e valutazione, ma sottolinea come sia fondamentale che la programmazione delle verifiche e l’assegnazione dei compiti avvengano in modo coordinato.

Viene raccomandato di evitare la concentrazione di prove e attività di studio nella stessa giornata e di non inserire i compiti sul registro elettronico in orario serale per il giorno successivo.

L’obiettivo è garantire una distribuzione equilibrata del carico di lavoro durante la settimana, prevenendo situazioni di stress e favorendo una migliore organizzazione del tempo, soprattutto in prossimità di giornate festive.

Autonomia degli studenti e collaborazione scuola-famiglia

Il Ministero sottolinea, inoltre, l’importanza di una corretta annotazione dei compiti, sia sul registro elettronico sia sul diario personale degli studenti, con particolare attenzione al primo ciclo di istruzione. La pratica, già evidenziata nella nota dell’11 luglio 2024, favorisce una crescente autonomia degli alunni nella gestione degli impegni scolastici e rende la consegna delle attività parte integrante della lezione. La circolare si conclude ribadendo la volontà di promuovere un dialogo costruttivo tra scuola e famiglie e di creare un ambiente sereno e fiducioso per lo sviluppo armonico della personalità degli studenti.

Perchè rivolgersi al TAR quando ci sono i presupposti

Difendere i diritti non è un atto di guerra.

È un gesto d’amore.

La scuola è — e deve restare — un’alleata nel percorso di crescita dei nostri figli.

Ma anche nei contesti migliori, può capitare di inciampare.
Malintesi, comunicazioni mancate, leggerezze.

Quando il dialogo si incrina, quando ogni tentativo di confronto fallisce allora, e solo allora, si può — con serenità — percorrere la via legale, come ultima spiaggia, non per attaccare, ma per proteggere.


Quando scatta la tutela legale?

  • Quando la scuola non consegna il PDP (Piano Didattico Personalizzato).
  • Quando non rispetta quanto previsto nel PDP approvato.
  • Quando mancano strumenti compensativi durante verifiche o esami.
  • Quando le prove non sono valide, perché somministrate senza le misure previste.

In alcuni casi, il TAR ha rigettato i ricorsi.
Ma il Consiglio di Stato ha ribaltato quelle decisioni, riconoscendo la gravità delle omissioni (sentenza n. 3880/2025).
Ha ricordato che la personalizzazione didattica non è una gentile concessione: è un diritto sancito dalla legge.

📌 Sentenze come queste hanno un valore esemplare
👉 Se le misure del PDP non vengono rispettate, lo scrutinio non è valido.


La morale?

Un PDP ignorato non è un errore formale.
È una violazione grave.
Che può compromettere l’intero anno scolastico.


Agire è un dovere.

Quando tutto il resto ha fallito, quando il dialogo è impossibile,
il rispetto dei diritti può — e deve — essere chiesto in tribunale.

Senza rabbia. Senza urla. Ma con fermezza.
Perché la legge c’è.
E tutelare i nostri figli non è un’opzione. È una responsabilità.