Archivi categoria: Senza categoria

Le misure compensative

Premesso che il fulcro del processo di apprendimento consiste nella possibilità di affrontare con qualche probabilità di successo una situazione problematica, negare gli strumenti compensativi agli allievi con DSA vuol dire agevolare un circuito vizioso in cui la frustrazione per la difficoltà dei compiti ne rende sempre più demotivante l’esecuzione.
strumenti_compensativiFonte: lumachinaea.blogspot.com

Ogni tanto compaiono sui giornali scandalizzate osservazioni da parte di pedagogisti e insegnanti (che si dicono orgogliosamente di lungo corso) sulla campagna a favore dell’impiego degli strumenti compensativi da parte dei bambini con DSA.
Ammettiamo che sia da tutti accettata l’idea che il fulcro del processo di apprendimento consista nella possibilità di affrontare con qualche probabilità di successo una situazione problematica, sia essa un esercizio (un’addizione, una sottrazione, ecc.), un piccolo problema aritmetico…

Tutti i più autorevoli psicologi dell’apprendimento ci hanno insegnato che lo sviluppo delle competenze richiede la presenza di almeno due condizioni: che il problema ponga al bambino un conflitto cognitivo accettabile (sviluppo prossimale o conflitto cognitivo ottimale), e che vi sia esercizio ripetuto, cioè una quantità di esperienza ragionevole. La prima condizione è strettamente correlata alla seconda, poiché tutti noi accettiamo più facilmente di svolgere ripetutamente attività che abbiano una buona probabilità di riuscita, mentre rifuggiamo dai compiti che non riusciamo a risolvere perché generano frustrazione ed evitamento.

Si creano così due circuiti contrapposti: un circuito virtuoso, che è quello delle attività che ci riescono: le ripetiamo volentieri e diventiamo ancora più bravi a svolgerle. Nel circuito vizioso invece se l’attività non riesce, non siamo gratificati a svolgerla e il ridotto esercizio ci allontana sempre più dallo standard.

Facciamo un esempio in ambito ludico. Se non mi riesce facile lo sci, aumenta la mia paura di andare sulla neve, questa mi tiene lontana dall’attività e quindi la mia abilità non si sviluppa e quando gli amici mi inviteranno per una gita sugli sci, io rifiuterò, perché sono consapevole della mia incapacità di fare quello che fanno loro. Finché si tratta di attività ricreative la soluzione appare semplice: queste vengono evitate e ne vengono praticate altre, ma quando l’attività è obbligatoria, deve essere svolta quotidianamente come ad esempio le operazioni aritmetiche, come posso fare?

In una classe ci sono bambini che si divertono a fare operazioni, scoprono l’efficienza dell’algoritmo e provano soddisfazione nell’applicarlo per raggiungere il risultato. Mentre questi bambini sperimentano la gioia del successo, c’è qualcuno che arranca faticosamente, che ha bisogno delle dita e, quando queste non bastano non sa come procedere. L’esercizio è frustrante e la sua incapacità di eseguirlo chiude ogni possibilità di incorporare le spiegazioni che l’insegnante prova a dargli, così come lo sciatore teso nello sforzo non riesce nemmeno ad ascoltare ciò che gli viene suggerito per trarsi d’impaccio.

Gli strumenti compensativi servono proprio a rendere più facile un esercizio, ad avvicinare l’allievo al successo, a fargli sperimentare un compito più abbordabile. Basta una linea dei numeri a disposizione sul banco per trasformare un’esperienza frustrante in una procedura semplice e facile da ripetere.

Il caso di Stefano

Ricordo ancora Stefano, un vispo bambino di seconda primaria che rifiutava le semplici addizioni e sottrazioni oltre la decina. Dopo cinque minuti di utilizzo della linea dei numeri, mi chiese di andare dalla mamma a mostrarle che anche lui era capace ora di fare i calcoli. E mentre parlavamo con la mamma Stefano ha continuato a inventarsi operazioni per mettere alla prova se stesso e la sua nuova procedura.

Purtroppo la sua insegnante riteneva che in classe non si dovesse usare la linea dei numeri e quindi la soddisfazione del bambino è svanita come una bolla di sapone e non ha potuto manifestare in classe sua abilità. Perché? “perché doveva imparare a fare senza” eppoi perché “non deve sentirsi diverso dagli altri”.
Trovo confutabili entrambe le argomentazioni: un bambino avverte di più il peso della diversità quando non riesce a fare quello che fanno gli altri, o quando deve usare uno strumento che gli facilita il compito?

Per quanto riguarda il secondo argomento (deve imparare e fare senza) qui sta la diversità nel concepire il modello di apprendimento e il ruolo dell’insegnante. Sembra che l’apprendimento debba essere necessariamente un processo tutto mentale e autonomo a costo di prevedere sforzo e sofferenza. Non si considera il ruolo del successo, che produce disponibilità all’esercizio, sviluppa padronanza comportamentale e crea le premesse per trasformare una procedura concreta e operazionale (cioè svolta con strumenti o con oggetti) in una procedura mentalizzata.

In definitiva il fatto che oggi gli strumenti compensativi debbano essere prescritti da uno specialista è paradossale, e testimonia quanto la nostra pedagogia sia caduta in basso…